3 cose sugli algoritmi (social e non) da sapere
Ciao *|MERGE1|*,
benvenut* in Fuori dal PED, la newsletter che cerca di fare ordine tra i trend social e i drammi dei social media manager.
Come stai? Oggi ti scrivo in ritardo rispetto al solito perché lo scorso weekend ho avuto bisogno di fare un po' di digital detox. "Potevi programmarla", dirai tu. No, hanno contribuito altri fattori. Mi è dispiaciuto posticipare il nostro appuntamento del sabato mattina ma ho sentito questo bisogno e ho preferito ascoltarlo. Mi ha fatto benissimo e dal prossimo sabato torna tutto regolare 😊
Terniamo a noi. Giovedì ho avuto il piacere di moderare insieme a Isabella Borrelli a Industrie Fluviali - Roma la presentazione di Dentro l'algoritmo, il nuovo libro di Donata Columbro.
Dentro l'algoritmo finisce, neanche a dirlo, dritto dritto nella mia #BibliotecaSocial: aprire una discussione sul significato, l'evoluzione e la nostra percezione degli algoritmi (non solo social) è utile e necessario.
Qui sotto ho raccolto tre evidenze emerse dalla lettura del libro e durante la presentazione.
Fammi sapere cosa ne pensi.
Buona settimana di post (anche programmati) e alla prossima Fuori dal PED!
Valentina
P.S. Sabato arriva la consueta lista "Regali di Natale per SMM"🎄
3 fatti sugli algoritmi (social e non solo)
1) La consapevolezza è l'unica strada per "combattere" gli algoritmi
Serve a poco puntare il dito contro il funzionamento di una piattaforma se i nostri contenuti non funzionano. Troppo facile e vittimistico.
L'algoritmo consiste in una serie di meccanismi che riusciamo a comprendere anche se non siamo informatici e soprattutto se lasciamo perdere l'aurea "mostruosa" che abbiamo costruito intorno a questo termine.
L'algoritmo non è un mostro, ma uno strumento creato da umani per umani. Gli algoritmi ci accompagnano ogni giorno, da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. Possiamo criticarli, ma pensare che si tratti di qualcosa di mistico e indecifrabile non serve a niente. Unica eccezione: il punto 3.
2) Gli algoritmi dei social media tradizionali sono in crisi
Specialmente le app di Meta non se la stanno passando benissimo. TikTok li sta scalzando dall'Olimpo e forse noi siamo più contenti di stare in un posto che riesce così velocemente a decifrare i nostri gusti, come il social cinese, oppure in luoghi digitali dove abbiamo più potere sui nostri contenuti.
L'ascesa di mezzi di comunicazione collaterali dove l'algoritmo non influenza in modo prepotente la fruizione dei contenuti, come ad esempio Telegram, newsletter, è un segnale forte e chiaro.
Siamo stanchi di rincorrere le novità delle piattaforme di Instagram e di subire contenuti che non vogliamo vedere? Io un po' sì.
"Instagram è finito". "La fine dei social network per come li conosciamo" sono titoli di articoli molto frequenti ultimamente. Come dare loro torto.
3) L'algoritmo è anche razzista e non inclusivo
I dati utilizzati per creare una serie di azioni utili a portare un determinato risultato (un algoritmo, appunto) sono organizzati, inseriti, da esseri umani in carne e ossa.
Se il risultato è razzista, è perché chi lo ha prodotto lo è.
In questo senso l'esempio più lampante che viene descritto in Dentro l'algoritmo è lo studio di Joy Buolamwini, attivista digitale ghanese e informatica presso il MIT di Boston.
Duranti i suoi studi al MIT Buolamwini si è accorta che il suo volto non veniva codificato dal riconoscimento facciale. Mettendosi una maschera dai tratti caucasici, invece, veniva riconosciuta.
La sua ricerca viene ben raccontata nel documentario Coded Bias. Lo trovi su Netflix e te lo consiglio.
Puntare il dito contro l'algoritmo, in questo caso, serve molto.
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L'immagine di copertina è stata realizzata da Giorgia Petracci, il mio logo da Egidio Filippetti.