Di agenzie di comunicazione e molestie
Ciao *|MERGE1|*,
benvenut* in Fuori dal PED, la newsletter che cerca di fare ordine tra i trend social e i drammi dei social media manager.
Se ieri sera hai avuto problemi con Instagram, Facebook o Whatsapp non preoccuparti, non era colpa del tuo telefono, tutte le piattaforme Meta hanno avuto dei problemi. Ora sembra tutto risolto. Pfiu.
Questa puntata di Fuori dal PED è un po' diversa dalle altre. In qualche modo si parla sempre di social media management e di questo lavoro, ma niente tecniche e strategie, mi preme affrontare un discorso cresciuto nel corso della settimana.
Questa settimana il mondo della comunicazione italiana ha ricevuto una (ancora troppo) piccola scossa.
Un noto pubblicitario italiano ha pubblicamente accusato un altro noto pubblicitario di essere stato un molestatore. I nomi li trovi qui, insieme agli altri link utili per comprendere al meglio delle nostre possibilità tutta la vicenda.
Tania Loschi, digital copywriter e autrice di quel podcast fighissimo che è Réclame, negli ultimi giorni ne ha parlato nelle Stories, aprendo un dibattito e ripubblicando testimonianze anonime e non di persone che hanno subito molestie all'interno delle agenzie.
Si parla di chat in cui gli uomini commentano i corpi delle dipendenti. Si parla di molestie verbali, fisiche, di insulti, di minacce, di ricatti rivolti alle dipendenti donne (ma non solo) di agenzia. Durante colloqui, durante una normale giornata di lavoro.
Non si parla di complimenti. Si parla di cose che messe così nero su bianco ci fanno rabbrividire, ma che se inserite in una, appunto, normale giornata di lavoro diventano "eh ma ha fatto una battuta", "eh ma sai lui è fatto così", "eh ma che vuoi che sia, tu lavora e non darci peso".
Invece il peso tutto questo ce l'ha.
Senza contare che queste situazioni vengono spesso condite da tutto un cucuzzaro di dinamiche negative che pervadono una parte di questo settore (sì, come molti altri settori): orari folli, stipendi bassi, ecc
Il vaso di Pandora che si è aperto non riguarda solo le agenzie di competenza dei pubblicitari coinvolti. Agenzie grosse. Milano. Ma anche agenzie di provincia, agenzie medie, agenzie in giro per l'Italia.
Questo è il tema da affrontare, secondo me. I nomi dei personaggi, i nomi delle agenzie ormai sono relativi. Il fatto è che è emerso un modus operandi a quanto pare molto diffuso.
Certo, un DM non equivale a una denuncia, le Stories non equivalgono a un processo e non tutti gli uomini che lavorano in agenzia si comportano così. Ma il fatto che se ne stia parlando e che questo discorso venga nutrito ogni giorno di più è indicativo di un disagio.
Lo è altrettanto che ad ora il mondo delle agenzie non abbia preso posizione.
So bene che queste situazioni purtroppo possono succedere in qualsiasi ambiente lavorativo, ma questa è una newsletter che parla di social media e di social media manager che spesso si confrontano con le agenzie di comunicazione e mi sembra giusto parlarne.
Fortunatamente non ho mai subito molestie durante le mie esperienze in agenzia. Ma ho subito un abuso di potere durante un'altra esperienza lavorativa. Forse è (anche) proprio per questo che le storie, specialmente quelle anonime, e il numero di queste storie raccolte da Tania mi hanno colpita.
Tante testimonianze raccontano situazioni orrende che non possiamo considerare normali.
C'è di mezzo la vita personale, la carriera, il futuro e il peso di non sapere come reagire. Non è giusto che per colpa di evidenti problemi personali di capi, superiori, direttori creativi, o chi che sia, una persona si debba accollare tutto questo.
Perchè, poi?
Veramente non saprei dirlo. Mi viene solo da pensare: 2023.
Poi magari gli stessi personaggi lavorano sulla campagna di un cliente che vuole promuovere i diritti civil, la parità di genere, l'empowerment femminile.
La parità di genere deve partire dalla macchinetta del caffè. Deve partire dalle mail. Deve partire dagli stipendi. Deve partite dalla libertà di andare a un colloquio, o in ufficio, vestita come credi, senza farti problemi su come vestirti perchè non sia mai che chi mi fa il colloquio pensi che voglia comprarlo mostrando il mio corpo. Perchè a volte, comunque vada, che tu abbia una t-shirt girocollo, una camicia, un vestito, c'è chi sceglie di non evitare di farti sentire a disagio. Chi sceglie di abusare della propria posizione per umiliare e offendere.
E puoi essere forte e consapevole quanto vuoi, ma quando questo succede è difficile capire cosa sia meglio fare.
Infatti, cosa fare in questo caso? Leggendo le testimonianze raccolte emerge chiaramente questa difficoltà. Denuncio subito? ne parlo alle altre colleghe? ne parlo con l'HR? affronto chi mi ha offesa?
Non ho soluzioni, ma credo che condividere e reagire sia già un primo passo, come sta succedendo in questi giorni. Non so con chi (denuncia a parte), non so come, ma condividere. Altrimenti non aumentiamo le possibilità che cambi qualcosa.
Ho scritto tutto questo perché la situazione, al di là dei dettagli, dei nomi e dei cognomi, mi sembra assurda ma estremamente reale. Dall'altra parte mi ha consolato vedere quanta rete sia possibile fare in modo autonomo.
Condividere una situazione di molestia può essere il primo passo per comprendere che chi ne è responsabile in realtà, alla fine, non vale così tanto. Vale invece sempre la pena discuterne, nel modo che preferiamo, e denunciare.
Il tema è ampio, ho cercato di riassumere al meglio i fatti e la mia opinione. Se ti va, fammi sapere cosa ne pensi.
V.
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