Come i social hanno influenzato la vittoria di Trump e la sconfitta di Harris
1 follower = 1 elettore? oggi forse sì
Ciao! Sei su Fuori dal PED, la newsletter che cerca di fare ordine tra i trend social e i drammi dei social media manager. Puntata #109.
Che dire. La giornata del 5 novembre personalmente era cominciata benissimo con l’uscita del mio primo articolo per Wired 🎉
Mi piace fare liste: l’articolo raccoglie i 10 momenti social che più hanno definito la campagna elettorale statunitense.
Poi le maratone, i primi dati, i primi cosa sta succedendo, i primi mannaggia.
E poi niente, il risveglio con la certezza della vittoria di Donald Trump, ma anche della centralità dei social e delle piattaforme digitali durante la corsa.
Entrambi i candidati, al netto del tempo a disposizione (Harris ha avuto meno tempo, è un dato di fatto), secondo me hanno giocato un’ottima partita sui social.
Il fatto più sorprendente è che abbiano usato strategie TOTALMENTE diverse, usando manuali d’uso opposti, in un campionato dove però c’era spazio solo per uno.
Come è riuscito Donald Trump a sfruttare così bene l’online?
Cosa non ha funzionato per i Democratici?
Come si è evoluto il sentiment intorno ai due candidati?
Cosa ci dice la vittoria di Trump sul modo in cui usiamo i social?
Per provare a trovare le risposte e approfondire più sfumature, ho chiesto una mano a giornalisti e professionisti del digitale.
Ringrazio Francesco Marino, Laura Fontana, Andrea Girolami e Marco Onorato per i loro preziosi contributi 🫶
As usual, buon weekend di post programmati e alla prossima!
V.
3 lezioni sui social dalle elezioni USA 2024 🇺🇸
1) 1 follower non equivale a 1 elettore
C’è una frase che nel mondo della comunicazione politica circola sempre molto in relazione all’uso dei social in questo settore:
1 follower non equivale a 1 elettore.
A dimostrare che, proprio come per un’azienda, un numero elevato di follower non garantisce un alto numero di voti.
Questa affermazione, di solito utile per ricordarci di non farci abbagliare dai numeri, sembra però aver perso forza nelle ultime elezioni USA.
Esperienza politica, popolarità, appoggio delle star di Hollywood e uno staff social di alto livello non sono bastati a Kamala Harris per vincere. Come non bastarono durante la prima corsa di Donald Trump, quella contro Hilary Clinton.
Non sono bastati a costruire una fanbase ampia e strutturata.
Come osservavamo nella puntata precedente di questa newsletter, 10 giorni prima dell’Election day Donald Trump vinceva su tutte le piattaforma social. E non di poco:
Su Instagram lo scarto tra il numero di follower di Trump e di Harris è di oltre 10 milioni.
Su TikTok Trump ha il doppio dei follower di Harris (anche se Harris ha due canali).
Su Facebook Trump ha 30 milioni di follower in più di Harris.
Donald Trump è riuscito a costruire un’audience grande e partecipativa e l’ha accompagnata in cabina elettorale, dove i numeri contano.
Quindi alla fine forse sì, oggi 1 follower equivale a 1 elettore.
2) Per i Democratici Il metodo Obama non funziona più
Da Obama in poi - comprensibilmente - i Democratici sulle varie piattaforme replicano il modus operandi del loro primo presidente social.
Joe Biden, Alexandra Ocasio Cortez, Kamala Harris.
Chi più chi meno, lo stile è sempre quello: ricercare il più possibile un bilanciamento tra essere vicini ai cittadini ed essere precisi e istituzionali.
L’impatto visivo dei contenuti di Obama è sempre stato impeccabile, ma lui non si è mai mostrato troppo rigido. Formale il giusto per trasmettere rigore e fiducia, così empatico da pubblicare un video con un filtro Snapchat.
La campagna di Kamala Harris sui social, con le dovute differenze dovute alle diverse tecnologie a disposizione, mi è sembrata ricalcare molto la campagna Obama 2008, per messaggi, content pillars, identità visiva.
Bisogna però forse arrendersi al fatto che quel bilanciamento perfetto è riuscito a trovarlo davvero solo Obama.
Pro futuro i Democratici dovranno, senza tralasciare i propri valori, studiare altri formati, altre estetiche, altre modalità, per rinnovarsi.
3) Il feed algoritmico ci sta penalizzando
Non è un fattore decisivo per determinare l’esito di un’elezione, ma è comunque una parte importante del puzzle: secondo un articolo di TechCrunch questa è probabilmente la prima campagna elettorale importante in cui le piattaforme presentano un feed meno cronologico e più algoritmico.
Su TikTok, Instagram e Threads difficilmente vediamo i contenuti appena pubblicati da un profilo. Quando succede, è di solito il profilo di una persona con cui interagiamo ogni giorno, non di un politico.
Dall’altra parte, nello stesso giorno potremmo vedere prima un contenuto vecchio di 15 giorni e subito dopo un contenuto pubblicato 3 ore prima. Funziona così il feed (la bacheca di un social) algoritmico.
Ad esempio su Threads diversi utenti si sono lamentati di vedere appelli di Harris a rimanere in fila per votare anche dopo che era evidente che Trump stava vincendo in stati chiave.
Una situazione chiaramente irritante se vogliamo usare i social per ricevere aggiornamenti sulle elezioni.
Ma questa è stata anche la campagna elettorale più cross-platform di sempre.
Non solo social: ha giocato una parte importante anche la partecipazione di entrambi i candidati a podcast di successo.
Per Trump il podcast di Joe Rogan, opinionista con particolare influenza sui giovani maschi bianchi, è stato probabilmente fondamentale per accaparrarsi questa fetta di audience.
Di questo, di come si è evoluto il sentiment intorno ai due candidati, quali contenuti hanno funzionato e quali no, della perdita di efficacia degli endorsement di Hollywood e della direzione che stanno prendendo i social media ho parlato con giornalisti e professionisti del digitale.
Una domanda ciascuno per provare a osservare più sfumature.
📣 Cosa impariamo sul nostro rapporto con i social dalla vittoria di Trump?
💬 Francesco Marino, giornalista e digital strategist
È stata una campagna elettorale molto caratterizzata dalla moltiplicazione dei canali e degli spazi di influenza.
La perdita di centralità dei media tradizionali e la (forse conseguente) moltiplicazione dei soggetti e dei mediatori ha cambiato molto lo scenario.
In questo contesto, mi pare che Trump, soprattutto dopo l’estate, sia riuscito a interpretare meglio il cambiamento. Da un lato X, Musk e la sua continua delegittimazione dei media tradizionali; dall’altro i podcast rivolti ai giovani maschi bianchi - ma non solo - fino a Joe Rogan.
Oltre a questo, mi pare sia tempo di riflettere, ancora e sul serio, sul ruolo che abbiamo affidato ai social nel dibattito politico.
Sì, sono spazi che vanno presidiati, occupati con intelligenza, senza abbandonare il campo: ma se la conversazione inizia e finisce lì, se ogni posizione, ogni idea, viene diluita nelle dinamiche di visibilità, diventa estetica, vince solo chi riesce ad hackerare con maggiore continuità ed efficacia l’attenzione degli elettori.
Abbiamo bisogno - e credo che questo valga anche fuori dal contesto USA - di spazi di costruzione, luoghi dove si possa lavorare al di fuori delle logiche di piattaforma, un respiro più profondo che permetta di immaginare un futuro.
📱I contenuti di Donald Trump non sono sempre ottimizzati. Come fanno a funzionare comunque?
💬 Andrea Girolami, autore della newsletter Scrolling infinito
Il personaggio è più importante del format.
Dobbiamo accettare che Trump ha un carisma e una capacità comunicativa che quasi nessun altro ha.
Se c'è quella poi la formattazione conta molto meno: tutti noi, almeno una volta, abbiamo pubblicato un video di scarsa qualità su un evento importante e ottenuto più visualizzazioni rispetto a un video di alta qualità su un tema meno d’impatto.
Il concetto di "Content Capital" (come citato nel libro Content di Kate Eichhorn), poi: Trump ha lasciato agli altri fare contenuti su di lui, che è l'obiettivo finale di qualunque creator (e lui lo è).
Ovvero non avere neanche la necessità di produrre contenuti perché la sua sola presenza produce contenuto fatto da altri: ecco allora i meme, le prese in giro, anche autoironiche come lui in versione McDonald e tutte le ospitate ai podcast.
Quando un personaggio con carisma va ospite da qualche parte crea molto più content capital di quando lo fanno altri. È un’attività con un moltiplicatore e un’efficacia più alta che Trump ha sfruttato molto bene.
👂Come si è evoluto il sentiment su Kamala Harris e Donald Trump online?
💬 Laura Fontana, Social media analyst ed esperta di fenomeni online & pop culture
Da oltre un anno monitoro le menzioni online sui candidati USA tramite due tool di social listening, Brandwatch e Talkwalker.
Finché Joe Biden è stato il candidato dem, tra lui e Trump c’è stato un sostanziale pareggio, anzi il sentiment negativo era maggiore su Trump.
L’attentato a Trump ha segnato un primo cambiamento, generando un picco di menzioni per Trump e spostando il sentimento da negativo a positivo.
Dopo il dibattito televisivo Biden - Trump, le menzioni su Biden sono crollate, mentre Harris ha guadagnato visibilità. Il suo staff ha messo in atto una strategia d’emergenza che in un certo senso ha anche funzionato, cavalcando soprattutto il trend “brat summer” che in quel momento spopolava online. Anche i suoi canali sociali, come hai raccontato anche tu, sono esplosi per follower e interazioni.
Non è bastato: le keyword relative a Donald Trump hanno generato quasi il 50% di risultati in più rispetto a quelle relative a Kamala Harris, con un sentiment molto polarizzato per entrambi i candidati.
L’ecosistema online vive con le sue regole che sono molto diverse dai sistemi elettorali. Ad esempio neanche Taylor Swift che su IG ha più di 280 milioni di follower e che ha endorsato Kamala Harris alla fine non si è rivelata decisiva.
Kamala Harris ha avuto il supporto di celebrità e influencer: tutto l’ecosistema dei fandom è stato dalla sua parte specialmente su Instagram e TikTok.
I contenuti su Trump, invece, sono stati molto più diffusi e organici, presenti su piattaforme come Reddit, Telegram, Facebook e YouTube e sostenuti da Elon Musk e i suoi “tech-bro”.
Puntando sui longform (lunghe diretto, podcast come quello di Joe Rogan) Trump è riuscito a instaurare una connessione con il giovane elettorato maschile. Ha anche ricevuto una notevole quantità di contenuti generati dagli utenti (UGC), tra cui meme e video AI, costruendo una community radicata e fedele simile a uno “standom”, che Harris non ha avuto il tempo di sviluppare.
🎥 Cosa ha funzionato e cosa no nella strategia social dei due candidati?
💬 Marco Onorato, co-founder & CEO di Marketing Espresso
Dobbiamo ragionare a partire dall’analisi dell’audience. A me ha colpito un dato: l’America negli ultimi anni ha avuto un’economia in crescita, sintomo che durante la presidenza di Joe Biden, democratico, il Paese non sia andato così male.
I sondaggi ci dicono invece che la percezione degli americani oggi è diversa: 7 persone su 10 dicono poco soddisfatte dell’economia americana.
I Democratici in campagna elettorale hanno portato avanti una comunicazione poco concreta. Hanno parlato ad esempio poco dei risultati ottenuti durante gli ultimi 4 anni, preferendo contenuti più ispirazioni, più di intrattenimento, più idealistici.
Contenuti che non sono sbagliati per il target che voleva raggiungere Kamala Harris, ma che rimangono scollati dalla realtà che vive la fascia media, invece preoccupata dall’economia e dall’immigrazione.
Kamala Harris nella sua comunicazione è stata woke.
Donald Trump, attraverso contenuti meno artefatti e più diretti (ad esempio i video in cui parla in prima persona) è riuscito a raccogliere i favori delle minoranze attraverso una comunicazione agganciata ai pain point delle persone, anche delle minoranze che oggettivamente era difficile potessero votarlo.
☄️ Top 5 social media news
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È la fine dei post celebrativi su LinkedIn, quelli con i template grafici
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IG pensa di usare l’AI per individuare i teenager che mentono sulla propria età
👓 Da leggere, ascoltare, guardare
La resa dei conti delle podcast election - via Questioni d’orecchio di Andrea F. De Cesco
Perché i Democratici non avranno il loro Joe Rogan - via User Mag di Taylor Loren
📚 Biblioteca social
Una raccolta di letture utili a noi che ci occupiamo di social media. Dai saggi ai romanzi. Clicca qui e sfoglia l'archivio.
✍️ Chi scrive Fuori dal PED
Mi chiamo Valentina Tonutti e sono una social media manager e strategist. Dal 2013 lavoro specialmente per media, politica e editoria. Online e offline amo condividere e creare sinergie: Fuori dal PED nasce per questo.
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Adoro parlare di social media, di come cambiano e di come noi cambiamo con loro: se vuoi invitarmi al tuo evento scrivi a vatonutti@gmail.com
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