Di dittatura degli algoritmi, lotta di classe, Chiara Ferragni e class action
Fuori dal PED #75 | Intervista a Paolo Landi, esperto di comunicazione e autore
Ciao, benvenut* in Fuori dal PED, la newsletter che cerca di fare ordine tra i trend social e i drammi dei social media manager.
Questa settimana un ospite a cui tengo molto: Paolo Landi. Autore di Instagram al tramonto (La Nave di Teseo) e La Dittatura degli Algoritmi. Dalla lotta di classe alla class action, appena uscito per Krills Books, si occupa di comunicazione e scrive su diverse testate sull’uso consapevole dei media.
Ho letto il suo ultimo libro, un pamphlet che parla di algoritmi e lotta di classe, e gli ho fatto qualche domanda sui temi più scottanti 🔥
Spoiler: c’è un interessante punto di vista sul caso Ferragni-Balocco.
Ringrazio Paolo per la disponibilità e spero che questo spunto di lettura ti interessi.
Come sempre, in fondo trovi le 5 notizie social più interessanti e altri articoli gustosi sul tema.
Buon weekend di post programmati e alla prossima,
V.
Nell’epoca in cui la qualità della vita diventa passione di massa, la Ferragni è l’epitome del superamento del capitalismo dei consumi, rappresentandone tuttavia la massima espressione, in direzione della fine del lavoro tradizionalmente inteso, nell’affermazione di un iper-liberismo che mischia occupazione e tempo libero, e ridefinendo anche il concetto di plusvalore: perché quella parte del prodotto del lavoro che l’imprenditore trattiene per sé, una volta remunerati i lavoratori salariati, e che costituisce la base dell’accumulazione capitalistica e del profitto, la Ferragni la ingloba totalmente.
Lei è l’imprenditrice e l’operaia, lavoro e tempo libero per lei sono la stessa cosa, lavora sempre senza lavorare mai, è essa stessa merce senza smettere di essere individuo: anzi, elevando alla massima potenza il valore di sé come persona.
V. Il tuo libro si apre con un capitolo dedicato a Chiara Ferragni, Il comunismo distopico di Chiara Ferragni. Visto che la prendi spesso come esempio per rappresentare ilsuperamento del capitalismo dei consumi e che la cronaca ci viene incontro, non posso non chiederti: il caso Balocco secondo te rappresenta una prima crepa nel sistema Ferragni e nelle sue conseguenze sociali ed economiche sulla nostra società?
P. No, non lo credo. Al di là de moralismo che si è scatenato mi pare che Chiara Ferragni non abbia niente da rimproverarsi: lei ha fatto il suo lavoro, ha prestato il suo volto per pubblicizzare un prodotto.
La cifra che le è stata corrisposta non si discosta dalle solite che lei è solita ricevere. Non era, ovviamente, obbligata a devolvere alcunché in beneficenza (e, semmai, l'errore è stato farlo, come scusandosi di qualcosa che non richiedeva alcuna scusa).
La responsabilità, in questi casi - e lo dico da manager che ha convinto tutte le imprese nelle quali ho lavorato e lavoro a devolvere una percentuale dei propri budget pubblicitari in charity - è dell'azienda. È stata la Balocco che avrebbe dovuto "conguagliare" a campagna vendita conclusa e aumentare (se le vendite erano state superiori) la cifra che aveva (correttamente) anticipato.
V. Sempre riguardo Ferragni, sostieni che abbia messo una pietra tombale sul rapporto di proprietà: "chi la paga non è più proprietario né del suo tempo né delle sue braccia, lei non è tenuta a fornire alcuna prestazione né alcun tipo di servizio, tra lei e chi la remunera non sembra esserci alcun rapporto di lavoro, tutti e due impegnati a occultare la materialità dello scambio [...] il valore che la Ferragni produce è intimamente legato al suo “essere lei”.
Questo discorso riguarda solo lei, e altri o altre al suo livello, oppure visto che siamo tutti creator, tutti influencer, nel momento in cui decidiamo di pubblicare qualcosa sui social, ci siamo tutti dentro?
P. Ho preso Chiara Ferragni come emblema dei cambiamenti che il nuovo capitalismo digitale promette.
Lei è un esempio fantastico per capire come cambierà il lavoro: che si sta smaterializzando, sta progressivamente abbandonando una dimensione analogica, si sta "terziarizzando" per usare un termine tecnico, sta abbandonando le fabbriche e gli uffici, il Covid ci ha insegnato a lavorare da casa, collegandoci sulle piattaforme.
Perfino i runner, al gradino più basso della scala sociale, vengono considerati "imprenditori", li si convince che possono disporre del loro tempo come vogliono e li si incentiva a lavorare di più, più in fretta, e quello che una volta era considerato "cottimo" diventa un asset imprenditoriale.
V. Le eco chamber sono “camere in cui l’eco del nostro conformismo si riverbera". Spazi, all'interno dei social network, dove riecheggiano prevalentemente opinioni simili alle nostre. Secondo te in futuro riusciremo a superare questo "muro" digitale o siamo destinati a rafforzarlo sempre di più, polarizzandoci sempre di più?
P. Penso ci polarizzeremo sempre di più perché le corporation proprietarie dei social network hanno interesse a dividerci, preferiscono un mondo corporativizzato: meglio le donne contro gli uomini, i neri contro i bianchi, i gay contro gli etero che tutti uniti contro il potere che li assoggetta.
Il vecchio "divide et impera" del capitalismo industriale si ripropone nel capitalismo digitale, la sostanza non cambia. Ma prima le masse si univano per difendere i loro diritti e per assicurare un futuro migliore a chi veniva dopo di loro.
Oggi parlare di sindacato sembra un'ingiuria, tutto è estremamente individualizzato, anche nel lavoro, se non mi trovo bene, se mi sento sfruttato mi licenzio, non combatto per migliorare la mia posizione e quella di chi verrà dopo di me.
Gli algoritmi sono predittivi: fanno succedere nel mondo reale quello che la gente vede sui social. Basta il post virale di uno che si licenzia per innescare il fenomeno della "great resignation" e tutti a licenziarsi, in tutto il mondo. È diventata una nuova arma di ricatto nei confronti delle imprese.
V. L'altro giorno seguendo gli aggiornamenti sulle elezioni americane, in particolare sulla vittoria di Trump ai caucus in Iowa, un giornalista [ndr. credo fosse Francesco Costa all’interno di un suo video su YouTube, ma non sono sicurissima] sottolineava che Trump ormai vince anche in realtà lontanissime dai suoi temi portanti (es. "gli immigrati ci rubano il lavoro, portano le malattie") - più vicini a una cultura metropolitana che a quella agricola dell'Iowa - perché con internet la percezione relativa alle battaglie sociali, economiche, lavorative, si è omologata.
P. Direi piuttosto che Trump continua a mietere voti tra la gente con meno strumenti per comprendere la realtà: il suo modo di comunicare, estremamente elementare, fa presa tra le persone semplici.
È un venditore, come lo era Berlusconi e, per altri versi, Beppe Grillo: tutti e due impegnati a trasformare la politica in slogan e a prospettare soluzioni facili a problemi difficili. Sembra sia questo che le masse vogliono.
V. Non importa se - tornando all'esempio di cui sopra - da te gli immigrati non si vedono neanche con il binocolo. Il "problema immigrati" arriva lo stesso anche nel luogo più remoto perché percepito attraverso le immagini, le notizie online.
P. Ma può arrivare distorto. Conosciamo ormai il potere delle fake news. I sovranisti italiani continuano a parlare di "emergenza immigrazione" quando l'Italia è l'ultima nella lista dei Paesi europei per accoglienza verso gli immigrati.
È vero che arrivano tutti qui, per via della dislocazione geografica, ma poi se ne vanno: questo viene taciuto, nessuno lo dice e gli italiani hanno la sensazione di essere invasi.
V. Se Ferragni ha sovvertito le economie di produzione, Trump, senza cultura politica nonostante gli anni da Presidente, sta dematerializzando la politica?
P. La sta disintermediando, con l'uso spasmodico e un po' infantile dei social, con questo modo di intervenire lui, su qualsiasi stronzata oltre che sulle cose gravi, bypassando il galateo istituzionale e riducendo i problemi politici a soluzioni in 240 caratteri.
V. Nel capitolo dedicato al passaggio da lotta di classe a class action citi un post Facebook in cui i cittadini insorgono per protestare contro il traffico di una tratta autostradale. Uno dei tanti esempi in cui le persone cercano di unirsi digitalmente per far sentire a politici o industriali la propria voce. Abitudine umana non certo nuova, ma che ha acquisito fattezze nuove in relazione agli ecosistemi digitali.
Oggi le "class action" rappresentano uno strumento per ottenere giustizia economica? O prendere parte a una colletta di firme digitali è pura illusione che ci fa dormire meglio la notte?
P. La class action mi è sembrata perfetta per spiegare il passaggio dalla lotta di classe a questo nuovo mondo di individui soli, non sindacalizzati, esposti al capitalismo digitale nella loro individualità: ricchi e poveri insieme a reclamare un diritto. Per carità, non c'è niente di sbagliato, lo dico chiaramente nel mio libro: è un passo avanti se si riesce a ottenere soddisfazione per un torto subito.
La class action è tuttavia emblematica di questo nuovo capitalismo digitale che frantuma, divide, allontana, costringe alla solitudine, trasforma le classi sociali in community, togliendo loro identità, realizzando una uguaglianza fittizia sui social, dove tutti sembriamo ricchi, con il nostro aperitivo da sorseggiare in riva al mare davanti a un tramonto.
☄️ Top 5 social media news
Su Instagram possiamo bloccare la pubblicazione di una Story durante il caricamento. Pfiu!
Sempre su IG, nuovi filtri per le foto (se c’è ancora qualcuno che li usa)
Su LinkedIn nuovi strumenti per cercare lavoro in modo più ordinato
TikTok testa la creazione di canzoni generate tramite AI. Basta un prompt
Threads permette di nascondere like e condivisioni
👓 Da leggere, ascoltare, guardare
Si può morire per una recensione? Irene Graziosi su Giovanna Pedretti, la donna che aveva risposto a una recensione omofoba sulla sua pizzeria, trovata morta
Come, se e quando usare gli hashtag su LinkedIn
Meta sta ancora pensando al metaverso, nonostante tutto
Mr. Beast, il famoso YouTuber, ha pubblicato un video direttamente X/Twitter per testare la monetizzazione, ora che la piattaforma vuole diventare video-first
📚 Biblioteca social
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🗓 Vediamoci
Il 2 febbraio a Pordenone, presso Lean Experience Factory, partecipo a The Ideas Lab Woman con una masterclass su come costruire una strategia social sostenibile. Il workshop si inserisce all’interno del progetto The Ideas Lab di Alessia Anniballo, esperta di innovazione e startup, ed è dedicato alle donne che vogliono lanciare il proprio progetto imprenditoriale.
Se hai un progetto in cantiere, può essere la spinta giusta per mettere tutti gli elementi che ti servono a sistema, insieme ad altre donne come te 🤝
Il costo per partecipare è poco più di 10 euro. Qui puoi sbirciare cosa è successo durante le altre tappe e qui acquistare il biglietto. Ti aspetto, e se hai domande scrivimi!
Mi chiamo Valentina Tonutti e sono una social media strategist. Dal 2014 lavoro con i social soprattutto per media, politica e editoria. Online e offline amo condividere e creare sinergie: la mia newsletter nasce per questo motivo (e perché dopo anni di microtesti ho voglia di scrivere cose lunghe).
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